C’è una cosa che succede invariabilmente quando metti piede in una fiera alimentare, specie una di quelle che si vende per “innovative”: qualcunə sale su un palco e proclama che il futuro è la multicanalità.
Essere ovunque, connessi, smart.
Chi compra oggi è unə ninja del retail, unə magə del cross-shopping, che passa dall’e-commerce alla bottega di quartiere senza soluzione di continuità. "Bisogna unire online e offline", ci ripetono. "Ormai non c’è più distinzione tra negozio fisico, DTC, food service, vending machine, casa, fogli di giornale e l’AI che recapita i broccoli a casa con un drone."
E tu annuisci. Poi alzi lo sguardo e ti rendi conto di essere in fiera, il più immutabile e monocanale dei mondi. Un rituale ancestrale in cui tutte e tutti camminano a passo di gambero vestiti come non si vestirebbero nemmeno al prediciottesimo della nipote, dentro un grande capannone dove ogni stand è un déjà-vu, ogni chiacchiera un loop infinito, ogni saluto è un grande “ciaooooooo, grandissimoooo” che nasconde un “ma chi è sto qui” e ogni novità ha un che di già visto. Ma quale novità, poi.
Anche il Biofach. Figurati se è da meno. Siamo in Germania, dopotutto.
Il grande Moloch che copia se stesso.
Questo Biofach 2025, che sulla carta è La Mecca del biologico e dell’innovazione sostenibile e che per anni è stata la mia dolce madeleine di inizio febbraio dove festeggiare un compleanno tra amici, alla fine si rivela per quello che è: una macchina del tempo tarata sul passato prossimo. Un Groundhog Day fieristico in cui ogni stand, ogni trend, ogni claim sembra una copia carbone di quello dell’anno scorso.
Eppure, qualcosa è cambiato. Ma non in meglio.
Se c’è una cosa che colpisce, è il numero sempre più ridotto di espositori. Qualcunə sussurra che siamo un terzo in meno rispetto a qualche edizione fa. Mi fido.
E allora un dubbio ti assale: non è che, forse, questa fiera non serve più come prima? Non è che chi produce e vorrebbe vendere qualcosina si è accortə che tra voli e viaggi, hotel, stand da pagare, personale da mandare e tonnellate di volantini inutili stampati su carta riciclata certificata FSC, il ROI della fiera non è poi così, come dire, stimolante?
Forse, dico forse, quel mercato “biologico” che una volta era ribellione al sistema è diventato ormai parte del sistema stesso. Un prodotto in più sugli scaffali, una categoria che cresce e poi scende, che vive di report e di buona grazia del o della buyer di turno, una feature-certificazione che si mette in etichetta per alzare il prezzo e poi si rimuove se le vendite calano. Forse il vero motivo per cui tantə abbandonano le fiere non è solo il costo, ma il fatto che oggi il bio non è più il grande tema. Non è più sexy. È solo un altro standard.
Eppure, qualcosa di interessante si è visto. Poche cose, le solite.
Se non altro, ecco i trend che potrebbero fare un altro giro di giostra prima di diventare noiosi come tutto il resto.



Pistacchio: il nuovo oppio dei popoli
Pensavamo (pensavo) fosse un’ossessione tutta italiana, e invece senza pistazien non si va avanti nemmeno all’estero. Il verde oro di Bronte e dintorni (molto dintorni…) impazza ovunque, dai gelati ai burri proteici, alla crema viso e alla bevanda vegetale, fino alle riedizioni consumer della osannata e smaghevole Dubai Chocolate a 99,90 €/kg. "Mai più senza", come se ne andasse della sopravvivenza della specie. Aspettiamo la prima pistacchio water e poi possiamo chiudere baracca e burattini.



Low Sugar e High Protein: ubi maior, minor cessat
Dove c’è un claim proteico, c’è business. Dove c’è un low sugar, c’è unə nutrizionista keto che annuisce severə. Il 2025 continua a cavalcare questa mania con una passione che sfiora il feticismo. Yogurt, snack, bevande, perfino cereali da colazione e pet food. Se non ha proteine, non si vende. Se ha troppo zucchero, è il male assoluto. Il che sarebbe anche interessante e in parte anche verosimile, se non fosse che spesso il prodotto "low sugar" sa di gesso e quello "high protein" di cartone umido. E che si blocca nell’intestino tenue o crasso che sia e allora ciao mare, come si dice qui da noi. O viceversa. Ma va bene così, avanti con la proteina quando invece basterebbe un po’ di equilibrio.



No/Lo: c’è vita oltre l’acqua frizzante
Un paio di segnali positivi per chi crede che il No/Lo non sia solo una moda da hipster in crisi di coscienza. (Alzo la mano).
Qualche kombucha ben fatto, un paio di proxies decenti, un bitter davvero intrigante. Ancora non abbastanza per dire che il mercato è pronto, ma si vede che qualcosa si muove. Il giorno in cui il No/Lo sarà più di un angolino di nicchia nelle fiere, allora potremo dire che è diventato davvero un trend. E secondo me accadrà molto presto. E qualcunə di noi potrà dire: io c’ero.






Un plant-based che osa, finalmente
Il plant-based nel bio è a volte sembrato un po’ triste, un copincolla dei prodotti non bio che sborano nelle fiere dei VCapitalists, senza aromi e artifizi chimicofisici indegeribili. C’è una terza via? Forse finalmente qualcosa si muove. Burger vegani su cui far crescere un fungo umamoso che non si sbriciolano in bocca e trasudano sapore, il nuovo stagionato di New Roots a base di lupino che sembra una toma del Ticino. La direzione è buona.





Legumi: finalmente qualcosa di serio
Ci abbiamo messo anni, ma ora i legumi sono ovunque. Snack, tofu, proteine per sportivə. L’hummus è ancora il re, ma il trono è conteso da alternative forse più sfiziose. No, scusate, non c’è nulla di più sfizioso dell’hummus.
Forse stiamo capendo che i legumi non sono solo il cibo dei poveri, ma una delle cose più intelligenti che possiamo mangiare. O forse che siamo diventati tutti poveri.
Unico disclaimer: è importante pensare al gusto, ho sentito degli snack di lupini croccanti che tra poco mi partiva l’otturazione.




Cacao: innovazione in tempo di crisi
Il cacao è in crisi, tra cambiamenti climatici e prezzi alle stelle, carenze di materie prime e occhi giusti sulla sostenibilità ambientale e sociale. Eppure, qualche spiraglio di innovazione: nuovi dolcificanti a base di cacao pulp, progetti bean to bar sempre più radicali, approcci che cercano di rendere il cacao un po’ meno schiavo delle speculazioni. Ma il cioccolato è sempre un pleasure food quindi it will be a long way to Tipperary.



Fermentazione e umami: koji, miso e integratori di (o alla) muffa
Il fermentato continua la sua ascesa nel mainstream, con il koji che si prende la scena. Miso di ogni tipo e di ogni size (millemila chili di misooo), integratori a base di koji, umami in polvere. Sembra figo, ma resta da capire se il pubblico capirà mai davvero di cosa si tratta o se finirà tutto in un altro angolo hipster di nicchia per noi radical chic di periferia.



Caffè. O meglio, non caffè.
Il caffè è sempre più caro e sempre meno sostenibile. Leggi cacao.
Tra cambiamenti climatici, sfruttamento delle terre (e delle persone) e prezzi che schizzano come l’espresso 100% rubusta stratostato del bar sottoc asa alle 7 del mattino, si fa largo un nuovo culto: le alternative. Mentre le high-tech-food-startup lavorano su artifizi tecnologici del futuro, nel bio riemerge il surrogato: caffè di ceci, lupini, dattero. Non sa di caffè, non ha caffeina, ma tutto sommato è piacevole. Niente di nuovo sul fronte. Vibes del ventennio.
Poca roba, lo so, ma questo quello che ho visto.
Forse verrebbe voglia di non andare più alle fiere, o di proporre alternative più piccole, più concentrate, più stimolanti.
Forse il vero trend 2025 potrebbe essere questo: il post-bio. Il biologico che diventa noioso perché non è più un atto di rivoluzione, ma solo un altro codice da scannerizzare alla cassa. Forse è questo che fa scappare chi espone. Forse è questo che ci sta dicendo Biofach con la sua fiera che si svuota: il bio ha bisogno di una nuova narrazione.
O forse no. Forse continueremo a fare giri in fiera, come Pac-Man impazziti, a scambiare biglietti da visita che finiranno dimenticati in una tasca. E a leggere report che ci spiegano che la vera innovazione del 2026 sarà… il plant-based. Proteico. Di nuovo.
Che ne pensi? Tu c’eri? E se c’eri…?
Da chiedersi, oltre quanto dici tu, è il senso. C'è sempre più mancanza di senso in questo nostro essere presenti nelle Fiere, ma la cosa si può allargare ad altro.
Dobbiamo riprenderci in mano il senso di quello che decidiamo.
Lo scorso anno ho detto: stop al Biofach. Dopo 23 anni.
E' cambiato tutto: il mercato, la produzione, il reperimento di materie prime "sane", e tanto altro. Una delle cose che non sono cambiate: le Fiere. Alcune sì, per carità. Ma il Biofach ... uguale a 20 anni fa ...
Stavo giusto pensando in questi giorni che bello il no/lo ma sarebbe fantastico se si iniziasse davvero a pensare al gusto.
Che poi il problema è sempre quello. Ci ho provato anch'io a fare dolci vegani con ingredienti normali. Ma tutte le volte che usavo semi di lino, o semi di chia, o psillio, c'era un invadente retrogusto di fieno. Poi ho usato una ricetta professionale di Pierre Hermè con fibra di agrumi e proteine di patate isolata, e tutti gli onnivori mi hanno chiesto la ricetta. Tutti gli onnivori di uno sperduto paesino dell'Ogliastra, non gente che era al Biofach.