Quelli tra trend e realtà
Abbiam prodotti che non conosciamo, ce li mettete voi in tasca pian piano
Ciao a tutte e tutti! 😎
(premessa: volevo andare al Sigep quest'anno ma motivi di salute non me l'hanno permesso. Qualcunə c'è statə? Visto qualcosa di imperdibile? Ho già la sensazione che la risposta sia no)
Veniamo a noi: come state? Qui tutto un brulicare.
Ah, che bello l'inizio dell'anno: quel magico momento in cui i reparti di Ricerca e Sviluppo e Innovazione si trasformano in moderni oracoli, cercando di prevedere (o, meglio, inventare, o meglio, fingere di sapere) i trend alimentari che domineranno il mercato.
"Allora, Riccardo, proponimi qualcosa per quel cliente x a cui tendenzialmente non frega nulla dei nostri prodotti".
[non metto il meme se no poi sono troppi, ma Immaginate Gerry Scotti che vi guarda intensamente e dice: "Dio mio, ma parla proprio di me!"]
Sì, perché la richiesta è sempre la stessa: novità, novità e ancora novità. E non importa se sono autentiche o un po' "finte" - l'importante è far vedere che si è sul pezzo.
Ma poi, sul pezzo di cosa?
E quindi, strumenti come l'ultimo Osservatorio Immagino di GS1 Italy possono essere visti come la mappa perfetta per disegnare un percorso inutile, che ci farà solo sudare e faticare senza nemmeno l'obiettivo di una polenta coi funghi al rifugio.
Questo report annuale arriva ogni anno nella casella mail di molti "addetti ai lavori", e si propone come un momento di riflessione, una bussola per navigare nel mare delle tendenze alimentari.
Ma, a ben pensarci, quanto di tutto questo ci aiuta davvero a comprendere il mercato? Quanto è solo un'altra arma nella corsa alla "novità"?
E poi, questo oracolo di Delfi quanto oracolo è?
Gli oracoli prevedevano le cose, qui si racconta una fotografia già vecchia.
Le etichette ci parlano - ma chi è il ventriloquo?
Guardiamo le etichette dei prodotti. Sono piene di promesse - "senza questo", "ricco di quello". A prima vista, sembrano rispondere ai desideri dei consumatori, un riflesso delle loro aspirazioni e paure. Ma è davvero così? O sono le etichette a modellare i desideri dei consumatori, in un ciclo infinito dove causa ed effetto si confondono?
E' nata prima l'etichetta o la "voglia di qualcosa di nuovo, Ambrogio"?
Da un lato, potremmo vedere le etichette come strumenti nelle mani di aziende e manager, che cercano di plasmare le tendenze del mercato secondo i loro piani. D'altra parte, potrebbero semplicemente riflettere un cambiamento autentico nel palato e nelle priorità dei consumatori. E qui, cari affamati lettori, entra in gioco la grande questione: chi guida veramente il carro dei trend alimentari? Sono le aziende con le loro strategie di marketing, o siamo noi, i consumatori, con i nostri cambiamenti di stile di vita e sensibilità?
E' un gioco di specchi (a proposito, sto leggendo il nuovo libro Naomi Klein "Doppio. Il mio viaggio nel Mondo Specchio", pare interessante).
Questa danza tra offerta e domanda è un po' come un gioco di specchi, dove la realtà si riflette all'infinito, perdendo i contorni originali. In questo labirinto di riflessi, si può perdere la bussola: cosa vogliamo davvero?
Ma soprattutto vogliamo davvero qualcosa?
(cosa vogliamo noi? novità? e quando le vogliamo? adesso!)
Spesso, dopo anni che faccio questo lavoro, mi chiedo se la domanda più realistica e utile non sia "cosa vogliono i consumatori?", ma "chi sta scrivendo questa storia?". Come diceva Platone, "La realtà è semplicemente un'ombra dell'ideale". Nel nostro caso, le etichette potrebbero essere solo ombre proiettate dai desideri collettivi, o forse, sono i burattinai che muovono i fili del consumo. Ma senza complottismo eh. Più che altro capitalismo.
Prendiamo, ad esempio, la frenesia per le proteine. Ne ho già parlato mille volte lo so ma visto che è scritto mille volte in bold nel nuovo Osservatorio Immagino, beh, eccomi qua).
Circa dieci anni fa, quando lavoravo da Naturasi, già lavoravo su questo trend, anzi, pensavo fosse già vecchio (Scuatemelo eh).
Ovunque ti giravi, c'era questo clamore per le proteine: nei frullati, nelle barrette, persino nel pane, fino alla zuppa!
Ma questa è davvero una fame del consumatore, o è un appetito indotto? Sì, i prodotti vanno dove c'è domanda - come insegna la mafia, "seguire i soldi" è un buon modo per capire i trend. Ma questo riflette un bisogno autentico del consumatore o è piuttosto una narrazione creata ad arte?
Non lo so.
In questo contesto, le parole di Arthur Schopenhauer risuonano come un barbarico Yawp: "Ogni uomo prende i limiti del suo proprio campo visivo per i limiti del mondo". Potrebbe essere che la nostra percezione dei bisogni alimentari sia limitata dalla narrazione che ci viene presentata?
E' una domanda retorica, sicuramente: i nostri desideri alimentari sono veramente nostri, o siamo semplicemente influenzati da ciò che ci viene mostrato e detto?
Probabilmente entrambe le cose.
E allora se come consumatori, dobbiamo essere consapevoli di queste influenze e chiederci: "Sto seguendo i miei veri bisogni o sto semplicemente percorrendo un sentiero tracciato da altri?", chi è dall'altra parte della barricata dovrebbe chiedersi, giorno dopo giorno, file excel dopo file excel, "ma tutto questo perchè lo faccio?"
Nella scorsa newsletter tra le mille cavolate che ho scritto raccontavo di come io abbia la sensazione che i trend alimentari viaggino alla velocità della luce, e che quindi non sia possibile riconoscere la loro posizione e la loro velocità nello stesso istante. Heisenberg chi?
Ebbene, questo porta a una domanda fondamentale: ha davvero senso inseguire i trend che emergono da report come l'Osservatorio Immagino o i mille report che ci arrivano via newsletter? Prendiamo ad esempio il caramello, l'ultimo grido del momento. Ovunque ci voltiamo, c'è una nuova variazione sul tema: caramello salato, caramello al cocco, caramello chi più ne ha più ne metta. Buono eh.
Ma cosa significa tutto questo per chi lavora nello sviluppo di prodotti? Se oggi iniziamo a lavorare su un prodotto al caramello, siamo già in ritardo? Il tempo che passa tra l'ideazione, lo sviluppo e il lancio di un prodotto è spesso così lungo che, quando finalmente arriva sugli scaffali, il trend potrebbe essere già passato. Chiedete a chi ha messo impianti di Goji Italiano, just to know.
Ci ritroviamo in una sorta di inseguimento costante, come topini sulla ruota.
Questo eterno gioco del gatto col topo tra sviluppatori di prodotti e trend del momento solleva un punto cruciale: stiamo davvero creando qualcosa di valore, o ci stiamo semplicemente aggrappando a ciò che "sembra" popolare?
Ed è qui la domanda che mi/ci faccio.
Come diceva Laozi: "Chi conosce gli altri è colto. Chi conosce se stesso è illuminato". Forse, nel mondo dell'innovazione alimentare, conoscere se stessi - e i propri valori fondamentali - potrebbe essere la chiave per non perdersi nella frenesia dei trend.
E quindi, quante di quelle frasi copincollate che si leggono nelle mission delle aziende sono veramente digerite dai membri dell’azienda stessa?
Vogliamo rivoluzionare in mondo del [metti qui settore food a caso].
Esticazzi.
Boom!
Aspetto i vostri messaggi, soprattutto commenti utili e interessanti come "scrivi troppo", che sicuro aggiungono valore al contesto.
Ah, ultima cosa, da oggi, copiando dalla newsletter bellissima della mia amica Maria Chiara Montera (so che hai letto fino a qui) e per rispondere a coloro (grazie!) che mi chiedevano nei giorni scorsi come poter sostenere questo progetto, ho dato la possibilità a tutti di “fare un abbonamento o una donazione”. Che non significa nulla, perchè la newsletter sarà sempre gratis, ma diciamo che è un modo diverso per “offrire un caffè, o meglio una cena”.
Qui sotto il link. Grazie!
Ma tra i trends attuali (e a proposito di proteine animali) non c'è anche quello degli insetti edibili? Quanto questo cibo risponde ai bisogni dei consumatori? Tra gli argomenti a favore del loro consumo c'è quello del costo minore nell'allevarli sia in termini economici che in termini di sostenibilità ambientale se confrontati a quelli della carne bovina.
Una delle NL più interessanti lette fino ad ora, non che le altre non lo fossero ma devo dire che hai centrato un punto interessante. Aggiungerei che anche il più supermegafigoinnovativo dei prodotti dell'industria, se non portato avanti dai buyer imbrigliati nelle controcifre, è destinato a morire (ne sappiamo qualcosa, no?). Questo mi porta a provare a risponderti: il processo dalla creazione allo scaffale è talmente tanto lungo che il pioniere è per forza di cose l'industria che, tramite ingenti finanziamenti in pubblicità, persuade il cliente che il nuovo prodotto sia assolutamente imperdibile. Il prodotto senza pubblicità è destinato a fallire, e questo è vero quanto più il prodotto è precursore di un trend: insomma, chi segue e sa aspettare spende meno.