Barbablu siamo noi
il fastidio di vivere in questo migliore di mondi possibili che forse lo è davvero ma forse anche speravamo di meglio
La fiaba di Barbablu ci racconta la storia dell'umanità e come ogni fiaba ha diverse letture, riletture, interpretazioni, varianti, storie.
Letture che ci accompagnano nel percorso che ci rendi uomini e donne fin dall'inizio dei tempi e ancora uomini e donne da bambini fino a quelli che siamo ora.
Noi, insomma, con tutte le nostre spigolature, linee d'ombra, feticismi e violenze.
Brutte persone.
Barbablu è un uomo solo innamorato delle donne o forse solo di sè stesso, o forse nemmeno di sè stesso.
Barbablu è un uomo che mette alla prova l'amore e la fiducia o è un uomo che si vendica: Barbablu è un uomo che ama la violenza e ama esercitarla.
Barbablu è un uomo che soffre il personaggio che è diventato un tradimento alla volta, oppure è sempre stato così, malvagio e cattivo, violento.
Barbablu, come tutti i "cattivi" delle fiabe, ci turba perchè sotto sotto ci racconta un po' di noi e un po' del mondo che viviamo e disegniamo ogni giorno, ci mette davanti uno specchio e ci dice guarda bene, guarda meglio, un po' ci somigliamo.
Ho riletto questa fiaba di recente, nella versione citata da Clarissa Pinkola Estés nel suo "Donne che corrono coi lupi". Era qualche settimana fa ormai, a Torino, durante la giornata finale del corso di scrittura creativa alla Scuola Holden su cui ho sudato e litigato con me stesso nelle ultime settimane. Lo stesso corso che mi ha fatto dire che alla fine posso anche provare a scrivere qualcosa di diverso rispetto alle mail di copia e incolla e ai report di food innovation, che posso anche scrivere un po' per me e per quel "così-difficile-da-far-cominciare-ma-piacevole-una-volta-cominciato" momento con sè stessi che è la scrittura quotidiana. Spoiler: non ce la sto facendo, ancora.
Comunque, Barbablu.
Barbablu mi è risuonato nella testa quando, leggendo l'intervista all'imprenditore agricolo carnefice di Satnam Singh qualche giorno fa, ho letto queste parole: "l'avevo avvisato di non usare così la macchina, è colpa sua se si è fatto male". Ora, non ricordo esattamente le parole ma questo il senso.
Barbablu che ti dice di non usare la chiave per aprire la piccola porticina. Barbablu che poi ti ammazza.
Barbablu che usa lavoratori in nero, senza sicurezza, sfruttati e stremati da una vita che vale meno di 4 euro l'ora tra caporali e terra e polvere negli occhi, e che se poi ti ammazza lasciandoti morire senza un braccio e con le ossa rotte buttato come un pacchetto vuoto davanti a casa tua, lanciato dal furgone marcio con a fianco tua moglie in lacrime, Barbablu che ti dice che è colpa tua, che non dovevi farti male, che te l'aveva detto di non-fare-testa-tua.
Il patriarcato nella sua più vile e pura forma, quello dell'uomo senza dignità e senza coraggio, dell'uomo vittima del sistema che risponde diventandone carnefice e alimentando così il circuito vittima-carnefice-violenza.
Un barbablu-imprenditore tradito. Tradito non dalla sposa-operaio ma dal sistema che tutti noi abbiamo costruito con i nostri morbosi comportamenti di consumo al supermercato, davanti all'app di Amazon e di Temu (shop like a millionaire), davanti o meglio dietro alla tenda della urne, sempre che si vada a votare.
Un sistema che è un parassita che ci succhia l'anima e promette risparmi alla cassa ma che richiede risparmi per tutta la filiera, e così via ai compromessi, più o meno dolorosi.
Un sistema che genera violenza: violenza sociale, violenza di genere, perchè Satnam Singh non è diverso a tutte le morti sul lavoro e a tutti i femminicidi, violenza dello sminuire, violenza del potere.
Riso amaro.
Fa ancora più ridere amaro perchè qui il potere non ce l'ha nessuno.
E lo stronzo imprenditore è vittima anche lui di un sistema che vuole i kiwi belli tondi profumati puliti pelosetti e coccolosi a meno di un euro al kg e mettici la logistica, il packaging, il lavoro, le rese, i trattamenti, il clima.
Un disastro.
Poi arriva Linkedin e la fiera delle vanità a cui anche io banchetto quindi lungi da me, mea culpa mea grandissima culpa.
Per un giorno pausa dal "I'm thrilled to annouce che ho trovato un nuovo lavoro a 80 km da casa dove una riunione poteva essere una call in remote working e dove una call poteva essere una mail e dove una mail" e un benvenuto ai post contro il caporalato.
Quanti post ho letto sul potere della scelta del consumatore, che con la nostra scelta possiamo cambiare il sistema, che brutti e cattivi i discount con i loro pomodori/kiwi/meloni/arance sporchi di sangue.
Prova a dirlo senza fare i tuoi 160 km di gasolio per andare in ufficio.
Prova a dirlo togliendo dai denti quel grasso di prosciutto cotto.
Signora mia, fosse così facile, mia nonna sarebbe una carriola biodinamica.
Tutto vero, tutto falso.
Vero che solo essendo comunità e con le nostre scelte possiamo votare tutti i giorni.
Vote with the Fork, me lo ricordo come slogan in un Terra Madre 2008.
Falso che così cambieremo le cose.
Potremmo dare una carezza a Barbablu e dirgli poverino, dai, non si fa così, prova a non uccidere i lavoratori la prossima volta.
E lui davanti alle telecamere del Tg1 ti dirà che non è colpa sua, che non si arriva a fine mese, che ci sono tanti costi fissi e variabili e deve pagare i trattamenti, il patentino, le tasse, i corrieri, la plastica, le cassette, perché lui deve vendere i kiwi a meno di un euro per farli arrivare poi a tre euro nel banco ortofrutta del tuo supermercato di fiducia dove potrai appoggiarli sopra un morbido letto di salumi preaffettati con lo sconto Fidaty.
E poi, sempre la giornalista vampiro del Tg1 andrà con la sua troupe all'uscita del discount poco fuori città, di fianco alla grande nuova rotonda, e alla famigliola medio borghese che è passata per colpa dell'inflazione dal Naturasi al Disconut, intervistata poco dopo la cassa, chiederà che ne pensa del povero indianino morto e loro diranno che coi i loro stipendi non arrivano a fine mese e signora mia l'iphone per figlio 12enne vuoi non comprarglielo per la promozione in seconda media?
Dai su.
Lo vedi che siamo tutti Barbablu, in un modo o nell'altro.
Vittime e carnefici, nascosti dietro alibi, dal produttore al consumatore. Tanti Barbablu a filiera corta.
Io la soluzione non ce l'ho. Ho solo queste parole buttate giù così, piene di rabbia, piene di denti digrignati per il fastidio di vivere in questo migliore di mondi possibili che forse lo è davvero ma forse anche speravamo di meglio, dai tempi di No Logo e delle legnate a Genova.
Alla fine siamo tanti Marcovaldi che producono, consumano e crepano in città nebbiose, calde, salutate da cicloni tropicali, pensa che bello, tanta fatica per pagarsi un viaggio a Bali poi il clima di Bali arriva da noi.
Di recente ho letto qualche stralcio del libro "Un uomo senza patria", di Kurt Vonnegut. Sono alcune sui interviste impossibile ma così tremendamente reali.
"[...] Mi scriveva: «Vorrei sapere cosa consiglierebbe a una donna di quarantatré anni che sta finalmente per avere un figlio ma ha un po’ paura di mettere al mondo una nuova vita in un posto così spaventoso».
Non lo faccia!, le volevo dire. Potrebbe essere un altro George W. Bush o un’altra Lucrezia Borgia. Il bambino avrebbe la fortuna di nascere in una società in cui anche i poveri sono sovrappeso, ma la sfortuna di vivere in un paese senza assistenza sanitaria nazionale e senza un’istruzione pubblica decente per la maggior parte dei cittadini, dove le iniezioni letali e la guerra sono forme di intrattenimento, e dove andare all’università costa un occhio e un rene. Non sarebbe lo stesso se il ragazzino fosse canadese, svedese, inglese, francese o crucco. Quindi meglio continuare a fare sesso sicuro, o emigrare.
Ma in verità le ho risposto che quello che per me rende la vita quasi degna di essere vissuta, oltre alla musica, sono tutti i santi che mi capita di incontrare un po’ ovunque. E per santi intendo gente che si comporta in maniera decorosa all’interno di una società clamorosamente indecorosa."
Che poi è la parafrasi di quella sua ventata di ottimismo riassunta nel "di regola io ne conosco una sola, bisogna essere buoni, cazzo!".
Beh, certe volte ricordarmi di questo gioioso pessimismo misericordioso.